Da Sant’Antimo a San Quirico d’Orcia

Com’è difficile staccarsi da questo posto. E poi alla luce del mattino, che rivela altri particolari della chiesa, della valle… Sono le sette. Prima di andarmene entro un’ultima volta dalla porta socchiusa. I frati non hanno ancora cominciato l’ufficio. La luce piove nell’abside, sull’altare in onice, lasciando tutto il resto nella semioscurità. Sono piccolo, piccolo. Ma danzo come pulviscolo nella luce.
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Ora però mi allontano. Salgo verso il paese e poi piego verso la parte opposta della valletta. Ma continuo a voltarmi indietro. Potrei scattare centinaia di foto, l’abbazia sembra sempre diversa di nuova bellezza.

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Ho deciso, vado a San Quirico. Non me la sento di fare 40 chilometri oggi. Ho qualche fastidio all’estensore del piede destro che mi consiglia di andarci piano, di dare il giusto riposo alla muscolatura. Non dovrei camminare molto, la guida dà una ventina di chilometri. Salgo e riscendo nella prima ora per immettermi nell’asse principale della Val d’Orcia. La giornata è bella. Molta umidità nell’aria per la pioggia di ieri, si suda un po’ di più del solito.
Il paesaggio non cambia rispetto alla prima parte del percorso di ieri: grandi vigneti, agriturismi, aumentano i pascoli. La sensazione è però che questa campagna sia meno “patinata”.
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Arrivo in breve in riva al fiume. Sono costretto a un guado non semplicissimo sul torrente Asso (perché come spesso accade non ho la pazienza di consultare la guida, che suggerisce un percorso alternativo), un attimo di panico in bilico su una pietra al centro del corso d’acqua ma rimango sui miei piedi e me la cavo molto bene, con danni trascurabili.
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Risalgo un po’ su sterrati un po’ su percorsi più incerti a margine dei campi e dei casolari. In uno di questi mi riforniscono di acqua e chiedo indicazioni. Mancano circa nove chilometri a San Quirico, le indicazioni della rete escursionistica toscana sembrano chiare.
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Già, sembrano. Più mi avvicino a San Quirico più diventano ambigue e incomprensibili. Sbaglio una volta direzione, sono costretto a tornare indietro di almeno un chilometro. Ma lo “sgarro” peggiore lo subisco quando ormai sono quasi arrivato. Incrocio, cartello messo perpendicolare alla strada che sto percorrendo, chiede di andare a sinistra, non ci sono dubbi di sorta. Invece mi spedisce in una strada privata che si perde nei campi. Non c’è nessuno a cui chiedere, torno indietro, riprendo la direzione precedente e dopo una curva finisce lo sterrato ed entro nell’abitato di San Quirico. La rete escursionistica toscana avrà mie notizie.
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Altro fantastico centro storico. Con tre chiese interessanti e addirittura un “Palazzo Chigi”, costruito dalla stessa famiglia della celebre dimora romana.
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L’ospitale è annesso alla bella Collegiata romanica, nello stesso edificio, probabilmente la vecchia canonica. Come a Ponte d’Arbia è gestito da una rete di volontari della parrocchia. È a offerta ma suggeriscono dieci euro, prezzo più che giusto per il trattamento e la qualità della struttura, con ottimi servizi e uso cucina. Finalmente faccio il bucato dopo tre giorni e tonnellate di fango infilato nelle fibre più riposte di ogni vestimento. Devo lavare “tutto”.
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Non sono solo stasera. Ci sono Giorgio e Teresa, una coppia di Fidenza partita da Siena (dove erano arrivati l’anno scorso partendo da casa); Michael, in texano pittoresco che parla un divertente melange di tedesco italiano e francese per farsi capire da noi; un olandese di Utrecht di cui non intendo il nome ma che sta facendo il percorso inverso rispetto al nostro. Uno dei pochi casi di pellegrinaggio “andata e ritorno” che conosca. Ceno in compagnia di Giorgio e Teresa. Altre belle storie di cammini.

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